Con la visita ufficiale del Presidente Mattarella nel 2016, l’Italia aveva preso l’impegno di rafforzare il partenariato economico con il Camerun. Dal 12 al 16 febbraio 2017 il Vice ministro degli Affari Esteri, Mario Gino, ha compiuto un nuovo viaggio a Youndè, in occasione del lancio del programma umanitario italiano nel lago Ciad, confermando la volontà del nostro paese di rispondere prontamente alla crisi umanitaria che sta colpendo il Camerun.
In questo momento storico, infatti, soprattutto l’area nord del Camerun e il Lago Ciad stanno affrontando una grave emergenza umanitaria causata dall’avanzamento del gruppo terroristico Boko Haram. Secondo L’Onu sono circa 21 milioni le persone colpite da violenze. E’ una situazione molto complessa dove più di 150mila nigeriani si sono rifugiati in Camerun, Ciad e Niger, mentre circa l’ 80% degli sfollati interni sono stati accolti dalla popolazione locale in piccoli villaggi, dove però la povertà è molto diffusa (fonte: Vita.it).
L’interesse dimostrato dall’Italia in questi ultimi anni nei confronti dell’Africa è concreto. Circa 70 imprese italiane, interessate ad investire nel paese, incontreranno i rappresentanti del Governo e gli imprenditori locali per promuovere la partnership tra i due paesi. La presenza del Vice ministro in queste aree rappresenta la volontà del nostro paese di voler contribuire per la ripresa sociale ed economica del Camerun attraverso un partenariato con gli attori locali.
Durante la sua visita, il Vice Ministro, ha inoltre incontrato tutte le principali ONG italiane operanti in Camerun in una assemblea dove ha partecipato anche Dokita Onlus con i suoi rappresentati: Padre Sergio Ianeselli, missionario storico della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, e Pantaleo Rizzo, project officer di Dokita in Camerun.
Si è concluso a Dicembre 2016 il progetto di erogazione di servizi socio-educativi per disabili presso il Foyer Père Monti a Ebolowa.
Il Centro, presente in Camerun dal 1984, si occupa di minori con disabilità nelle funzioni della voce, uditive, visive e dell’apparato motorio. I minori ospitati, circa 100, hanno un’età compresa fra i 4 e 17 anni. L’obiettivo del Centro è di favorire l’integrazione socio-economica dei minori con disabilità uditiva e motoria, attraverso servizi educativi e riabilitativi specializzati.
Il Foyer rappresenta ormai un importante punto di riferimento per la popolazione e per le istituzioni locali e le attività portate avanti da Dokita durante il 2016 hanno migliorato e ampliato i servizi già erogati sul territorio e ciò ha conferito ulteriore sostenibilità alla struttura.
I principali RISULTATI ottenuti durante l’anno 2015/16 sono stati:
- Assistenza a 100 minori con disabilità uditiva e motoria con servizi educativi e socio-sanitari.
- Erogazione di 5 corsi tecnici e professionalizzanti per 100 minori con disabilità auditiva e motoria.
Le ATTIVITA’ condotte a sostegno dei 100 minori con disabilità sono state:
- Istruzione scolastica e formazione nel linguaggio dei segni, garantita da un direttore dell’insegnamento e da 7 insegnanti.
- Distribuzione di 3 pasti giornalieri, grazie all’assunzione di una cuoca per il centro e all’acquisto di un’auto per il trasporto degli alimenti.
- Accoglienza residenziale con 100 posti letti, ognuno dei quali dotato di un materasso con rivestimento impermeabile, 2 lenzuola ed una zanzariera.
- Servizi di rieducazione uditiva e di riabilitazione motoria. Un esperto in audiometria ed un fisioterapista hanno condotto le loro attività per un periodo di 10 mesi (Novembre 2015-Settembre 2016) che stanno continuando anche per l’anno scolastico 2016-17.
- Realizzazione di corsi di sartoria, avicoltura, muratura, calzoleria e piscicoltura. Tutte le attività sono state svolte con livelli di formazione diversa, in base all’età e alle classe dei bambini. Per la realizzazione dei corso sono stati acquistati: 20 macchine da cucire, cassette per gli attrezzi e grembiuli per ogni bambino (per il corso di sartoria); cassette per gli attrezzi e materiale tecnico per l’allevamento di 400 pulcini (per il corso di avicoltura); cassette per gli attrezzi e sacchi di cemento per la fabbricazione di mattoni in terra, cemento e sabbia (per il corso di muratura); cassette per gli attrezzi e materiale tecnico per la realizzazione di sandali (per il corso di calzoleria); cassette per gli attrezzi, materiale tecnico e 6 vasche per l’allevamento di pesci (per il corso di piscicoltura).
Nel 2016 il Ministero degli Affari Sociali ha classificato il Centro in seconda posizione nella massima categoria (categoria A), subito dopo l’Associazione Promhandicam di Yaoundé, sostenuta anch’essa dai frati della CFIC e specializzata per i malvedenti.
Infine, per il delegato regionale degli affari sociali, questo programma contribuisce a raggiungere uno degli obiettivi maggiori del Ministero degli Affari Sociali, cioé quello dell’integrazione socio-economica delle popolazioni socialmente vulnerabili di cui fanno parte i minori disabili.
REPORTAGE FOTOGRAFICO DEL PROGETTO
Da Ottobre a Dicembre 2016 Dokita è riuscita a raccogliere l’importo necessario per avviare il progetto a supporto della Fattoria Sociale di Montepacini, Centro Socio Educativo Riabilitativo diurno per giovani/adulti disabili. In questa struttura i ragazzi ospiti vengono seguiti da personale specializzato nel loro percorso di fisioterapia e/o di riabilitazione e hanno la possibilità di vivere e sperimentare esperienze costruttive a contatto con la natura e gli animali (pet therapy, onodidattica, ippoterapia, animali della fattoria) in modo da promuovere l’agricoltura sociale per l’inclusione di minori e giovani adulti disabili.
Dopo il sisma che ha colpito il centro Italia, la Fattoria ha subito ingenti danni strutturali che hanno limitato le attività riabilitative dei ragazzi ospiti. Dokita, in collaborazione con il Forum Nazionale dell’Agricoltura Sociale, ha attivato una raccolta fondi finalizzata:
- All’acquisto di attrezzature sostitutive per far ripartire le consuete attività riabilitative, in particolare la ristrutturazione del’antico forno a legna e delle stallette degli animali.
- All’ampliamento dei consueti laboratori riabilitative e ludico-ricreativi per offrire accoglienza alle persone vittime del sisma, in particolare ai bambini e disabili.
I beneficiari della campagna sono:
- 16 ragazzi con disabilità seguiti quotidianamente dagli operatori della fattoria sociale
- circa 100 ragazzi con diverse forme di disagio inseriti in attività stagionali
- circa 30 bambini sfollati nel territorio circostante provenienti dalle zone colpite dal sisma. Per loro saranno realizzate, d’accordo con il Comune di Fermo, attività di accoglienza pomeridiana con attività ludico-ricreative e didattiche.
Nel mese di Febbraio 2017 i primi lavori di ristrutturazione avranno inizio, consentendo nel più breve tempo possibile la ripresa e l’ampliamento delle attività del Centro. Dokita, nei limiti delle proprie possibilità, ha deciso di dare un contributo concreto, seppur circoscritto, a chi sta vivendo dei momenti di difficoltà causati dalla tragedia del sisma. Se vuoi aiutarci, visita la pagina dedicata al progetto.
A partire dal 2017 Dokita avvierà un progetto di collaborazione in Kenya con la ONG locale WOFAK, che da oltre 20 anni opera attivamente per la prevenzione, supporto ed integrazione delle donne affette da HIV.
Abbiamo intervistato la sua fondatrice e direttrice esecutiva, Dorothy O. Onyango, la cui storia è un brillante esempio di forza, coraggio e successo in un paese in cui ancora oggi le donne sieropositive vivono in una condizione di subordinazione, vulnerabilità ed emarginazione.
- Sappiamo che ti è stato diagnosticato il virus dell’HIV nel 1990 e ti avevano dato 6 mesi di vita. Nel 2016 sei ancora qui, in forma e a capo di WOFAK. Cosa ti ha dato maggiormente la forza di reagire ed andare avanti?
Si, mi hanno diagnosticato il virus dell’HIV nel 1990, ma potrei esser stata contagiata anche molto prima. Non è stato un percorso semplice, soprattutto perché lo stigma era molto forte in Kenya ed in quel periodo il governo riempì la città di grandi cartelloni che mostravano l’aspetto di persone sieropositive. Erano ritratti come scheletri coperti da pelle, senza carne. E’ cosi che pensavo sarei diventata, prima o poi.
Nel 1992 mi venne presentata la prima persona che in Kenya affrontò questo argomento e fortunatamente mi informò che ci sarebbe presto stata una conferenza internazionale in Olanda ed una pre-conferenza dove avrebbero partecipato donne affette da HIV provenienti da tutto il mondo e mi invitò a partecipare. Credevo avrei incontrato miserabili donne, malate e con un aspetto scheletrico. Per fortuna non fu così, poiché le donne in Europa potevano giù usufruire di cure adeguate e si erano organizzate fondando dei gruppi di supporto dove condividere e affrontare i loro problemi insieme.
Eravamo 54 donne provenienti da tutto il mondo. Del gruppo di 24 donne provenienti dall’Africa, siamo sopravvissute soltanto in 3 a causa di una un sistema sanitario e di supporto molto scarso, un forte stigma ed isolamento. È qui che ho trovato la mia forza, vedendo donne con la mia stessa malattia, in salute e serene. Ci sono chiaramente anche stati momenti in cui abbiamo versato lacrime ascoltando le storie di alcune donne che raccontavano cosa stavano affrontando all’interno delle loro famiglie e comunità. Questo sta ad indicare l’importanza del supporto psicologico e della condivisione. Ora sono nonna di 2 bambini, i miei 3 figli sono cresciuti e mi sento ancora molto forte invecchiando serenamente con l’HIV.
- Quale pensi sia lo strumento più adeguato da fornire alle donne in Kenya per uscire dal loro stato di subordinazione e discriminazione?
Credo che lo strumento più appropriato che possa esser dato alle donne in Kenya sia l’indipendenza economica, poiché la maggior parte delle donne sieropositive hanno un stipendio basso o nullo e così non hanno sufficienti mezzi di sostentamento per prendersi cura delle loro vite. Queste donne hanno bisogno di soldi per nutrire i loro bambini, alcune nonne si prendono cura di bambini orfani le cui madri sono decedute a causa del virus ed hanno bisogno di supporto, di cibo e l’unico modo per fornirglielo è finanziandole e permettere loro di iniziare piccole attività economiche e diventare indipendenti.
Inoltre, è fondamentale organizzare gruppi di supporto psicologico in modo che possano essere adeguatamente informate su come poter vivere la loro vita serenamente ed attivamente anche con il virus (ad esempio proseguire gli studi per le giovani ragazze) e su l’importanza di seguire le cure mediche.
Infine bisogna puntare sul rafforzamento delle capacità delle donne di intraprendere ruoli di leadership sia a livello della loro comunità sia ad un livello politico. Questo permetterebbe loro di combattere per i loro diritti.
- Tra le tante difficoltà che sicuramente incontrerete quotidianamente nel vostro lavoro, quale ritieni sia la più ardua?
Il più grande ostacolo che sono costretta ad affrontare ogni giorno a lavoro è la disinformazione, ancora altamente diffusa in Kenya. Spesso incontro malati che non vogliono accettare il loro status da HIV positivo ed ancora credono che il virus sia il risultato di stregoneria o di pratiche rituali e magiche e di conseguenza rifiutano di farsi curare. Ci sono anche persone che non vogliono rivelare di aver contratto il virus al loro partner, aumentando così quindi il rischio di poterlo contagiare.
- Quale pensi possa essere il modo più adeguato e rispettoso per una persona italiana/occidentale che volesse fornire il proprio aiuto alle donne del Kenya e/o alla vostra organizzazione?
Credo che il modo più appropriato per sostenere WOFAK e la nostra causa sia attraverso un supporto economico che psicologico, attraverso gruppi di supporto che permettono di conoscere ed entrare a far parte della nostra associazione.
- Ci racconti una storia di uno dei tanti beneficiari che hai incontrato in questi 20 anni a cui sei particolarmente legata?
I beneficiare della nostra associazioni sono molti ma vorrei raccontarvi la storia di Rebecca Awiti. Appena le fu diagnosticato il virus dell’HIV nel 2002 perse la speranza aspettando solo il giorno della sua morte. Visse per molto tempo in uno stato di rifiuto, isolandosi dai suoi amici e dalla sua famiglia pensando che avrebbero riconosciuto la sua malattia soltanto guardandola. Si rivolse poi ad un centro di aiuto, il quale le consigliò il gruppo di supporto WOFAK. Entrò così a far parte della nostra famiglia, dove incontrò una consulente sociale che descrisse come una persona gentile, bella ed in salute che condivise con lei il suo status da HIV positiva e fu in questo momento che nacque in lei la prospettiva di una rinascita.
Ho incontrato Rebecca personalmente poiché fu interessata ad aiutare altre donne malate e quando WOFAK fu fondata decisi di assumerla come assistente. Dimostrò di avere grandi capacità lavorative e fu così promossa diventando coordinatrice di campo.
Rebecca fu supportata ed informata, le vennero date tutte gli strumenti di cui aveva bisogno per restare in salute ed essere produttiva. Grazie alle informazioni ricevute da WOFAK , decise di diventare mamma e questo avvenne proprio quando il programma di Prevenzione di Trasmissione Madre-Figlio (PMTCT) venne introdotto in Kenya. La introdussi ad una organizzazione con cui noi lavoriamo, chiamata NARESA, che le fornì un supporto specifico durante la gravidanza. Rebecca seguì diligentemente tutti i trattamenti ed appuntamenti di visita e mise alla luce 4 bambini, solo uno dei quali decedette a causa del virus. Gli altri 3, due bimbe ed un bimbo, sono HIV negativi e seguono ora le scuole medie.
Rebecca è una donna che guardo come un esempio e su cui misuro il mio lavoro ed impegno. Quando mi venne chiesto di nominare una donna che aveva seguito il percorso di cura PMTCT con i migliori risultati, nominai proprio lei. Venne selezionata e viaggiò a New York per partecipare e tenere un discorso al World AIDS Day, durante il quale il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, fu ospite commentando i progressi nella riduzione della trasmissione madre-figlio del virus HIV in molti paesi del mondo.
Dokita, ha deciso di sottoscrivere la lettera aperta sulla situazione di Aleppo dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), una lettera per incitare la politica ad agire. Noi soggetti sociali pretendiamo che le istituzioni nazionali, europee ed internazionali si esprimano con la condanna forte dell’eccidio in atto.
Siamo consapevoli che oramai è troppo tardi per garantire la salvezza a tutte le vite umane che sono intrappolate da infinito tempo ad Aleppo e per evitare la distruzione della città.
Ma non è mai tardi per aprire i corridoi umanitari per chi sta provando a scappare. Non è mai tardi per condannare le violenze contro i civili in Siria, determinate dallo scontro tra il Governo di Assad e le opposizioni e l’intervento militare della Russia e dei suoi alleati attuali.
Fino ad oggi le istituzioni e la diplomazia hanno espresso indignazione e condanna, ma non basta, serve ufficializzare un NO deciso e fattivo, imporre il freno a questa guerra che è un eccidio, uno sterminio di massa, un continuo evolversi di crimini contro l’umanità.
Al Consiglio di Sicurezza e alle Istituzioni delle Nazioni Unite, alle istituzioni europee, al Governo Italiano chiediamo:
• la ferma condanna dell’eccidio in atto ad Aleppo da parte di tutte le forze militari in azione
• l’azione fattiva politico-diplomatica per il cessate il fuoco immediato che ad oggi è stato firmato solo dalla Russia e non dal Governo di Assad, imponendo che l’accordo sia rispettato da tutte le parti
• l’invio di monitor ONU che assicurino anche l’uscita in sicurezza dei civili dalla zona assediata con l’apertura di corridoi umanitari sicuri
• l’apertura di un’indagine sul destino delle persone “scomparse”, secondo quanto denunciato dal responsabile ONU per i diritti umani in Siria
• l’istituzione di una Commissione d’indagine indipendente sulle violazioni del diritto internazionale nel corso dell’assedio di Aleppo, dall’inizio ad oggi
Per tutto il periodo natalizio, dal 7 al 24 Dicembre, saremo presenti in più di 50 città italiane e in oltre 100 punti vendita Limoni, La Gardenia e Tigotà, con l’iniziativa “Pacchetti per bene”, per impacchettare i tuoi regali di Natale. All’interno di ogni negozio che ha aderito all’iniziativa, troverai uno o più corner attrezzati per il confezionamento dei tuoi pacchi di Natale.
Con una piccola offerta libera si potrà dare un contributo per garantire ai minori disabili in Camerun, istruzione, supporto nutrizionale e cure mediche.
In Camerun ricevere le giuste cure o andare a scuola non sono diritti primari ma lussi inaccessibili. Qui, il 23% delle persone che hanno dai 2 ai 9 anni vive con almeno un tipo di disabilità insorta, nel 65%, a causa di malattie come polio, malaria, lebbra, morbillo. Mali che, quando non uccidono, lasciano in eredità alle piccole vittime questa pesante condizione.
La tua attività diventerà un aiuto concreto per tanti bambini che avranno la speranza di un futuro migliore! Il tuo gesto d’amore, si rasformerà in cure, assistenza e istruzione per centinaia di bambini disabili in Camerun. Il dono più bello che i nostri bambini possano ricevere!
Scarica la lista dei punti vendita in cui saremo presenti per tutto il periodo Natalizio e vieni a conoscere i nostri volontari!
In questo articolo di Redattore Sociale Gabriella, mamma di Benedetta, una bambina autistica, racconta quanto sia “sconvolgente” l’esperienza del terremoto vissuta da una persona con disabilità.
“Venti secondi di discesa all’inferno, incapace di fare anche solo un passo per avvicinarmi a lei e abbracciarla. Benedetta era terrorizzata e urlava, irrigidita sulla sedia. Volevo prenderla per metterci sotto l’architrave della porta, ma tutto ballava così forte che ogni tentativo è stato inutile”. Inoltre la mamma aggiunge: “scappare è più facile dirlo che farlo con una persona autistica bloccata dalla paura. Non si muove, è sotto choc, il suo peso si triplica, non ha punti di riferimento, sembra non riconoscere ciò che la circonda, ti guarda con gli occhi sbarrati”.
Questa testimonianza ci ricorda che tra gli oltre 25.000 sfollati colpiti dalle scosse di terremoto che nell’ultimo mese hanno ripetutamente fatto tremare il centro Italia, le persone con disabilità sono le più vulnerabili. La loro prima difficoltà risiede nel riuscire a mettersi in salvo, ma successivamente gli ostacoli da superare sono molteplici, tra cui il reperimento di beni di prima necessità, l’accesso agli aiuti e rifugi, la perdita o danneggiamento dei propri dispositivi di assistenza ed infine il peggioramento di patologie causate dal trauma emotivo. La mamma di Benedetta infatti conclude spiegando come “un evento così pauroso rimane nei loro ricordi per mesi, anni, diventando l’ennesima stereotipia verbale che dobbiamo affrontare e che si somma a tutte le altre”.
Durante queste emergenze, inoltre, può aumentare il numero delle persone che sperimentano una nuova disabilità fisica o psicologica, sia di breve che di lungo periodo.
Per questi motivi Dokita ha attivato una raccolta fondi da destinare all’accoglienza e all’assistenza delle persone con disabilità attraverso strutture e professionisti specializzati nelle aree maggiormente colpite dal terremoto. Per sostenere altre persone che hanno vissuto la stessa tragedia di Benedetta e per dare il tuo contributo visita la nostra pagina dedicata all’emergenza terremoto.
Il 3 novembre scorso un incendio ha colpito l’ospedale Holy Spirit di Makeni in Sierra Leone. Dokita onlus è particolarmente rammaricata dal momento che per tutto il 2015, in occasione dell’emergenza ebola, ha collaborato con l’ospedale e la controparte locale che lo gestisce. L’intervento opearto da Dokita aveva portato alla realizzazione di un laboratorio attrezzato d’eccellenza unico ne Paese con l’obiettivo di ridurre la morbilità e la mortalità da virus ebola. I danni sono ingenti e Dokita si sta attivando per reperire fondi da destinare alla ricostruzione del laboratorio
Lunedì 31 ottobre è andata in onda l’ottava puntata di “Pechino Express – Le civiltà perdute”, il noto reality show che vede come protagoniste otto coppie che si sfidano lungo un percorso di circa ottomila chilometri per raggiungere, a tappe che richiedono tre-quattro giorni di viaggio ciascuna, una determinata meta.
I viaggiatori, prossimi ormai alla fine del loro percorso, sono arrivati in Messico. Ad aggiudicarsi la prima tappa nel Paese è stata la coppia degli innamorati, risultando a tutti gli effetti i primi semifinalisti del programma.
Lory Del Santo e Marco Cucolo hanno deciso di donare i 5.000€ della vincita della puntata a Dokita.
La donazione verrà impiegata a favore del Progetto Minori in America Latina. Il progetto ha come obiettivo principale il contrasto della criminalità giovanile e la tutela dei diritti degli adolescenti in America Latina.
In Honduras verrà promossa la formazione tecnica e professionale dei giovani in disagio socio economico di alcune delle zone più vulnerabili del Paese per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro e ridurne la vulnerabilità sociale ed economica nonché il rischio che possano essere reclutati dalle gang criminali giovanili, molto diffuse in Honduras.
Il 21 ottobre Dokita, in collaborazione con la ong Re.Te e con l’Istituto Italo Latino Americano – IILA, ha presentato lo studio realizzato nell’ambito del progetto “Minori e Giustizia”. Il rapporto, consegnato alle istituzioni del sistema di giustizia minorile in Honduras, contiene una mappatura delle organizzazioni pubbliche e private presenti sul territorio attive nel campo della prevenzione della violenza minorile.
La collaborazione di RE.TE Ong e Dokita ha permesso di approfondire una maggiore conoscenza delle realtà locali in vista di una possibile implementazione futura di misure detentive alternative per i minori coinvolti in azioni che abbiano ricadute penali. Lo studio ha identificato 176 organizzazioni e 265 programmi volti al reinserimento sociali di bambini e adolescenti tra i 12 ed i 18 anni.
Dallo studio è emersa, inoltre, la necessità di incrementare le risorse da destinare alle politiche pubbliche per i giovani in situazioni di conflitto con la legge, potenziando da un lato il personale dedicato al monitoraggio continuo di nuovi casi sul territorio e dall’altro il ruolo dei meccanismi istituzionali per favorire efficaci misure alternative alla detenzione.
A conclusione, le Organizzazioni autrici dello studio, hanno espresso la necessità di avviare un processo di individuazione, classificazione e standardizzazione delle misure alternative alla detenzione in relazione alla gravità dei reati e crimini commessi dai minori. In tal modo, sostengono gli autori dello studio, sarà possibile calcolare e regolare un percorso specifico di reinserimento sociale ad hoc per ogni caso tratato. Infine, il DINAF (Dirección de Niñez, Adolescencia y Familia ) in coordinamento con i giudici di esecuzione ha riscontrato l’utilità della definizione dei processi di monitoraggio qualitativo dell’efficacia delle misure alternative.
Per maggiori informazioni visita la pagina del nostro progetto.
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